Ricorso ex art. 127  della  Costituzione  per  il Presidente  del
Consiglio  dei   ministri,   rappresentato   e   difeso   per   legge
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  presso  i  cui   uffici   e'
domiciliato in Roma alla via dei Portoghesi, 12; 
    contro la Regione Lazio, in persona del presidente  della  giunta
regionale  pro  tempore  per  la   declaratoria   di   illegittimita'
costituzionale degli articoli: 
        4, comma 8, 
        4, comma 25; 
        4, comma 53; 
        9; 
        19; 
        21, comma 1; 
        21, comma 15; 
        21, comma 21, 
della legge regionale del Lazio 28  dicembre  2018,  n.  13,  recante
«Legge di stabilita' regionale 2019». 
    Sul B.U.R. n. 105 del 29 dicembre 2018, e'  stata  pubblicata  la
legge regionale Lazio 28 dicembre 2018,  n.  13,  recante  «Legge  di
stabilita' regionale 2019». 
    Tale legge regionale presenta diversi profili  di  illegittimita'
costituzionale. 
    Il Presidente  del  Consiglio  propone,  pertanto,  questione  di
legittimita' costituzionale ai sensi dell'art. 127, comma 1 Cost. per
i seguenti 
 
                               Motivi 
 
1) Violazione degli articoli 2, 3 e 118 della Costituzione. 
    L'art.  4,  comma  8,  di  tale  legge  regionale  contiene   una
disposizione in tema di contributi alle  associazioni  animaliste  di
volontariato per interventi in materia di controllo del randagismo. 
    Cosi' dispone l'art. 4, comma 8: 
        «Dopo il comma  3  dell'art.  26  della  legge  regionale  21
ottobre 1997, n. 34 (Tutela degli animali di affezione e  prevenzione
del randagismo), e' aggiunto il seguente: 
    "3-bis.  Agli  oneri  derivanti  dall'art.  8,  comma  7-ter,  si
provvede mediante la  voce  di  spesa  denominata:  "Contributi  alle
associazioni animaliste di volontariato per interventi in materia  di
controllo  del  randagismo",   da   istituirsi   nel   programma   08
"Cooperazione e associazionismo" della missione 12 "Diritti  sociali,
politiche sociali e famiglia", alla cui autorizzazione di spesa, pari
ad euro 50.000,00 per ciascuna  annualita'  2019,  2020  e  2021,  si
provvede  attraverso  la  corrispondente  riduzione   delle   risorse
iscritte a legislazione vigente, a valere sulle medesime  annualita',
nel fondo speciale di parte corrente di cui al  programma  03  "Altri
fondi" della missione 20 "Fondi e accantonamenti"». 
    Come si vede, la disposizione aggiunge un comma all'art. 26 della
legge regionale 21 ottobre 1997,  n.  34  (Tutela  degli  animali  di
affezione e prevenzione del randagismo), il cui testo  attuale  cosi'
recita  (in  grassetto  la  parte  aggiunta  dalla  legge   regionale
impugnata): 
        «1. Per l'attuazione della presente legge,  e'  istituito  il
capitolo di bilancio n. 41148 con la seguente  denominazione:  «Spesa
per l'attuazione delle norme per il controllo del randagismo». 
    2. Lo stanziamento per l'anno 1997 e' determinato in  lire  cento
milioni e la relativa copertura e' assicurata mediante utilizzazione,
di pari importo, della  somma  iscritta  al  capitolo  n.  41145  del
bilancio 1997. 
    3. I fondi nazionali di cui all'art. 8 della  legge  n.  281  del
1991 confluiscono sul capitolo n. 01346 delle entrate previste  dalla
Regione e sono gestiti sul corrispondente capitolo n. 41146 (17). 
    3-bis. Agli oneri derivanti dall'art. 8, comma 7-ter, si provvede
mediante la voce di spesa denominata: "Contributi  alle  associazioni
animaliste di volontariato per interventi in materia di controllo del
randagismo",  da  istituirsi  nel  programma   08   "Cooperazione   e
associazionismo"  della  missione  12  "Diritti  sociali,   politiche
sociali e famiglia", alla cui autorizzazione di spesa, pari  ad  euro
50.000,00 per ciascuna annualita' 2019,  2020  e  2021,  si  provvede
attraverso la  corrispondente  riduzione  delle  risorse  iscritte  a
legislazione vigente, a valere sulle medesime annualita',  nel  fondo
speciale di parte corrente di cui al programma 03 "Altri fondi" della
missione 20 "Fondi e accantonamenti"». 
    L'art. 4, comma 8, si pone in contrasto con l'art. 5, lettera  e)
del Codice del terzo settore, decreto legislativo 3 luglio  2017,  n.
117, a norma dell'art. 1, comma 2, lettera b), della legge  6  giugno
2016, n. 106. 
    L'art. 5, lettera e) del Codice del terzo settore prevede infatti
che: 
        «1. Gli enti del Terzo settore, diversi dalle imprese sociali
incluse  le  cooperative  sociali,  esercitano  in  via  esclusiva  o
principale  una  o  piu'  attivita'  di  interesse  generale  per  il
perseguimento,  senza  scopo  di   lucro,   di   finalita'   civiche,
solidaristiche e di utilita' sociale.  Si  considerano  di  interesse
generale, se svolte in conformita'  alle  norme  particolari  che  ne
disciplinano l'esercizio, le attivita' aventi ad oggetto: 
    ...e) interventi e servizi finalizzati  alla  salvaguardia  e  al
miglioramento  delle  condizioni  dell'ambiente  e  all'utilizzazione
accorta  e  razionale  delle   risorse   naturali,   con   esclusione
dell'attivita', esercitata abitualmente, di  raccolta  e  riciclaggio
dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi»; 
    Ebbene, come si e' evidenziato,  con  la  disposizione  impugnata
(art. 4, comma 8, legge regionale n. 13/2018)  la  denominazione  del
capitolo inserito al comma 3-bis della legge regionale n. 34/1997, in
materia di tutela  degli  animali  di  affezione  e  prevenzione  del
randagismo, fa riferimento a contributi destinati «alle  associazioni
animaliste di volontariato per interventi in materia di controllo del
randagismo». 
    In proposito si rappresenta che la normativa nazionale non limita
la  possibilita'  di  operare  a  tutela  degli  animali  alle   sole
associazioni di volontariato: il menzionato art. 5,  lettera  e)  del
Codice del terzo settore inserisce tale materia tra quelle relative a
tutti gli enti del terzo settore. 
    D'altro canto, anche  la  legge  n.  281/1991  (Legge  quadro  in
materia di animali di affezione  e  prevenzione  del  randagismo)  fa
riferimento alle associazioni animaliste, in particolare all'art.  3,
a mente del quale: «Le regioni adottano, entro sei mesi dalla data di
entrata in vigore  della  presente  legge,  sentite  le  associazioni
animaliste,  protezioniste  e  venatorie,  che  operano   in   ambito
regionale, un programma di prevenzione del randagismo». 
    Ferma,  quindi,  restando  la   necessita'   eventuale   di   una
riconduzione alla normativa nazionale delle previsioni  di  cui  alla
legge regionale, la mera denominazione del  capitolo  prevista  dalla
legge regionale configura di per se' una violazione degli articoli 2,
3 e 118 della Costituzione, in quanto implica una discriminazione nei
confronti di associazioni animaliste iscritte nei registri del  terzo
settore diverse da quelle delle organizzazioni di volontariato. 
2) Violazione degli articoli 81 e 120 della Costituzione. 
    L'art. 4 comma 25 prevede che: 
        «Al fine di migliorare ed ottimizzare i servizi di assistenza
sanitaria nei confronti della popolazione, con  particolare  riguardo
alla situazione emergenziale che  insiste  nell'area  del  Comune  di
Anagni, e' disposta l'autorizzazione di spesa pari a 100.000,00  euro
per l'anno 2019 e a 200.000,00 euro  per  ciascuna  delle  annualita'
2020 e 2021, nell'ambito della voce di spesa denominata "Spese per la
realizzazione di hub per  la  gestione  di  situazioni  di  emergenza
sanitaria",  da  iscriversi  nel  Programma  05  "Servizio  sanitario
regionale - investimenti sanitari" della Missione  13  "Tutela  della
salute", alla cui copertura si provvede  mediante  la  corrispondente
riduzione delle risorse iscritte a  legislazione  vigente,  a  valere
sulle medesime annualita', nel fondo speciale in  conto  capitale  di
cui al Programma 03 della Missione 20.  Le  disposizioni  di  cui  al
presente comma si applicano in quanto compatibili con  le  previsioni
del piano di rientro dal disavanzo  sanitario  della  Regione  e  con
quelle dei programmi operativi di cui all'art.  2,  comma  88,  della
legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria  2010)
e successive modifiche e con le funzioni attribuite al commissario ad
acta  per  la  prosecuzione  del  piano  di  rientro  dal   disavanzo
sanitario». 
    La  disposizione  in  questione  prevede  un   investimento   sul
territorio di Anagni per la costruzione di  un  hub  per  l'emergenza
sanitaria. 
    In tali termini, la norma si pone in contrasto con le  competenze
del Commissario ad acta per il Piano di rientro che, peraltro, adotta
la rete ospedaliera  anche  ai  sensi  del  decreto  ministeriale  n.
70/2015. 
    Pertanto, la norma viola il principio di leale collaborazione, di
cui all'art. 120 della Costituzione. 
    Si rilevano anche  profili  di  contrasto  con  l'art.  81  della
Costituzione, atteso che la disposizione determina minori entrate sul
bilancio regionale sanitario, prive di copertura finanziaria. 
3) Violazione degli articoli 2, 3 e 118 della Costituzione. 
    L'art. 4, comma 53, prevede che: 
        «La Regione, nel rispetto del principio di sussidiarieta'  di
cui all'art. 118 della Costituzione, concede contributi ai comuni per
sostenere e valorizzare le iniziative  dei  cittadini  attivi,  delle
associazioni e dei comitati di  quartiere  presenti  sul  territorio,
volte alla  cura  ed  alla  rigenerazione  dei  beni  comuni  urbani,
materiali,   immateriali   e   digitali,   che    i    cittadini    e
l'amministrazione riconoscono  essere  funzionali  all'esercizio  dei
diritti  fondamentali  della  persona,  al  benessere  individuale  e
collettivo». 
    La disposizione prevede dunque la concessione  di  contributi  ai
comuni per sostenere iniziative di cittadini attivi,  associazioni  e
comitati di quartiere volti alla tutela dei beni comuni. 
    Il comma 54 dell'art. 4 prevede che  i  comuni  stessi  stipulino
«patti di collaborazione con i soggetti di cui al comma 53». 
    In  proposito  manca  ogni  riferimento  all'iscrizione  di  tali
soggetti nei registri del terzo settore. 
    La legge n. 106/2016 prevede l'iscrizione nel registro unico  del
terzo settore (nelle more  della  sua  operativita'  l'art.  101  del
codice  del  terzo  settore  individua  i  registri   per   i   quali
l'iscrizione dispiega gli stessi effetti), per  gli  enti  del  terzo
settore  che  si   avvalgono   prevalentemente   o   stabilmente   di
finanziamenti  pubblici,  di  fondi   acquisiti   tramite   pubbliche
sottoscrizioni o che esercitano attivita' in regime di convenzione  o
accreditamento con enti pubblici. 
    Ferma, quindi, restando  anche  in  questo  caso,  la  necessita'
eventuale  di  una  riconduzione  alla  normativa   nazionale   delle
previsioni di cui alla legge regionale, la  mancanza  di  riferimento
all'iscrizione dei soggetti indicati al comma  53  nei  registri  del
terzo settore configura di per se' una violazione degli articoli 2, 3
e 118 della Costituzione, in quanto implica una  discriminazione  nei
confronti di associazioni animaliste iscritte nei registri del  terzo
settore dai soggetti indicati dalla disposizione regionale. 
4) Violazione dell'art. 120 della Costituzione. 
    L'art. 9, commi da 2 a 5, prevede che: 
        «2. Allo scopo di agevolare la  definizione  del  contenzioso
pendente in materia di controlli esterni in ambito sanitario  di  cui
all'art. 8-octies del decreto legislativo 30 dicembre  1992,  n.  502
(Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'art.  1
della legge 23 ottobre 1992, n.  421)  e  successive  modifiche,  per
prestazioni rese nel periodo antecedente all'entrata  in  vigore  del
decreto del Commissario ad acta 8 giugno 2017,  n.  218,  ovvero  per
prevenirne  l'attivazione  e  consentire  la  stabilizzazione   degli
effetti economici, la struttura sanitaria interessata puo' richiedere
all'amministrazione regionale di essere ammessa  al  pagamento  della
sanzione amministrativa in misura pari a un terzo, fermo il pagamento
integrale della differente remunerazione  sul  singolo  ricovero.  La
richiesta e' formulata nel termine di sessanta giorni dall'entrata in
vigore  della  presente  disposizione  per   i   controlli   la   cui
valorizzazione e' stata gia' comunicata, ovvero entro sessanta giorni
dalla comunicazione della valorizzazione degli stessi. 
    3. La misura e' accordata dall'amministrazione esclusivamente  in
caso di compresenza delle seguenti condizioni: 
        a)  riconducibilita'   delle   sanzioni   agli   abbattimenti
applicati per i controlli non concordati, anche in parte; 
        b) effettuazione  del  pagamento  integrale  del  debito  nei
termini previsti al comma 4; 
        c)  rinuncia  da  parte  della  struttura   al   procedimento
amministrativo  di  risoluzione  delle   discordanze   e   all'azione
giudiziaria pendente o futura. 
    4. La struttura deve provvedere al pagamento integrale del debito
entro i sessanta  giorni  successivi  all'accoglimento  dell'istanza,
ovvero entro il termine massimo di venti mesi in caso di richiesta di
rateizzazione, con corresponsione degli  interessi  legali,  pena  la
decadenza dal beneficio. 
    5. Dalle disposizioni di cui al presente  articolo  non  derivano
nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio regionale». 
    L'art. 9  consente  alle  strutture  sanitarie  che  ne  facciano
richiesta, di accedere alla riduzione  di  un  terzo  della  sanzione
amministrativa prevista  per  le  prestazioni  oggetto  di  controlli
esterni in ambito sanitario in data antecedente a quella  di  entrata
in vigore del decreto del Commissario ad acta 8 giugno 2017, n. 218. 
    Cio' al fine di definire i contenziosi esistenti o  di  prevenire
quelli futuri. 
    Tale previsione presenta profili di incostituzionalita' in quanto
attinente ad una materia di competenza del Commissario ad acta per il
Piano di rientro, che, in quanto tale, non potrebbe essere oggetto di
legislazione regionale (cfr. ex multis Corte costituzionale, 5 maggio
2014, n. 110; 14 luglio 2017, n. 190).  Tra  i  compiti  del  mandato
commissariale rientra, infatti, anche il governo dei rapporti  con  i
privati accreditati. 
    In tali termini la norma invade le competenze del Commissario  ad
acta.  Inoltre,  l'intervento  in  questione  puo'   comportare   una
ridefinizione degli effetti  economici  e  finanziari  derivanti  dai
controlli esterni  che  potrebbero  ripercuotersi  sui  risultati  di
esercizio gia' validati dai tavoli tecnici. 
    La norma, dunque, si pone in contrasto con il principio di  leale
collaborazione, di cui all'art. 120 della Costituzione. 
5)  Violazione  degli  articoli  3,  97  e  117,  terzo  comma  della
Costituzione. 
    L'art. 19 prevede che: 
        «La deroga di cui all'art. 3, comma 1, della legge  regionale
n. 21/2009 e successive modifiche, si interpreta nel  senso  che  gli
interventi di ampliamento previsti dal medesimo art. 3, comma 1, sono
consentiti anche in deroga ai limiti  di  densita'  edilizia  di  cui
all'art. 7 del decreto del Ministero per i lavori pubblici  2  aprile
1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densita' edilizia, di  altezza,
di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra  spazi  destinati
agli insediamenti  residenziali  e  produttivi  e  spazi  pubblici  o
riservati alle attivita' collettive, al verde pubblico o a  parcheggi
da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici
o della revisione di quelli esistenti, ai sensi  dell'art.  17  della
legge 6 agosto 1967, n. 765)». 
    La richiamata disposizione regionale, lungi  dal  dare  una  mera
interpretazione della citata disposizione regionale, presenta aspetti
del  tutto  innovativi  rispetto  alla  norma  che  si  pretende   di
interpretare, prevedendo che gli interventi edilizi consentiti  dalla
medesima disposizione possano essere realizzati «anche in  deroga  ai
limiti di densita'  edilizia  di  cui  all'art.  7  del  decreto  del
Ministero per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444». 
    Occorre ricordare,  in  proposito,  che  la  legge  regionale  n.
21/2009 ha dettato norme di carattere straordinario con le quali sono
stati consentiti interventi edilizi anche in deroga  alle  previsioni
degli  strumenti  urbanistici  e  dei  regolamenti  edilizi  comunali
vigenti o adottati. 
    La  predetta  disposizione  regionale,  dunque,  ha  una  portata
retroattiva di dubbia legittimita'. 
    Come al riguardo affermato dalla Corte (sentenza n. 73 del 2017),
la deroga al principio della irretroattivita' delle  norme  trova  il
suo fondamento nel principio di ragionevolezza, atteso che 
    «La erroneita' della auto-qualificazione  delle  norme  impugnate
come  interpretative  costituisce  ...  un  primo  indice  ...  della
irragionevolezza  del  loro  retroagire  nel   tempo,   ulteriormente
corroborato   dalla   constatazione   che   le   stesse   introducono
innovazioni, destinate, per lo piu', ad ampliare facolta'  in  deroga
ai relativi strumenti urbanistici, peraltro  non  necessariamente  in
termini di logica continuita' con il quadro generale  di  riferimento
sul quale le stesse sono destinate ad incidere». 
    Invero, com'e'  noto,  la  Corte  ha  individuato  alcuni  limiti
generali  all'efficacia  retroattiva  delle  leggi,  attinenti   alla
salvaguardia di principi costituzionali tra i quali  sono  ricompresi
il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette
nel divieto di introdurre ingiustificate disparita'  di  trattamento;
la tutela dell'affidamento legittimamente sorto  nei  soggetti  quale
principio connaturato  allo  Stato  di  diritto;  la  coerenza  e  la
certezza  dell'ordinamento  giuridico;  il  rispetto  delle  funzioni
costituzionalmente riservate al potere giudiziario (cfr. sentenza  n.
73 del 2017, nonche' le sentenze n. 170 del 2013, n. 78 del 2012 e n.
209 del 2010). 
    Atteso che  la  previsione  regionale  e'  caratterizzata  da  un
indubbio carattere innovativo, con efficacia retroattiva, essa  rende
legittime condotte, le quali, non considerate tali al  momento  della
loro realizzazione (perche' non conformi agli  strumenti  urbanistici
di riferimento), lo divengono per effetto dell'intervento  successivo
del  legislatore,  con  l'ulteriore  conseguenza  di  consentire   la
regolarizzazione  ex  post  di  opere  che,  al  momento  della  loro
realizzazione, erano in contrasto con gli  strumenti  urbanistici  di
riferimento, dando corpo, in definitiva, ad una  surrettizia  ipotesi
di sanatoria straordinaria che esula  dalle  competenze  regionali  e
risulta pertanto illegittima. 
    In proposito, e' appena il caso  di  ricordare  che  l'Intesa  1°
aprile 2009, n. 21/CU «Intesa, ai sensi dell'art. 8, comma  6,  della
legge 5 giugno 2003, n. 131, tra Stato, regioni e  gli  enti  locali,
sull'atto concernente misure per il rilancio dell'economia attraverso
l'attivita' edilizia. (Repertorio atti n. 211CU del 1° aprile  2009)»
aveva stabilito che gli interventi edilizi ivi previsti non potessero
riferirsi ad edifici abusivi o  nei  centri  storici  o  in  aree  di
inedificabilita' assoluta. 
    Parimenti, l'art. 5 (Costruzioni private)  del  decreto-legge  n.
70/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  106/2011,  il
quale, ai commi da 9 a 14, reca la disciplina  di  principio  per  la
razionalizzazione  del  patrimonio  edilizio  esistente  e   per   la
promozione e  agevolazione  della  riqualificazione  di  aree  urbane
degradate con presenza  di  funzioni  eterogenee  e  tessuti  edilizi
disorganici o  incompiuti  nonche'  di  edifici  a  destinazione  non
residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare
prevede, al comma 10, che: 
        «10. Gli interventi di cui al comma 9 non  possono  riferirsi
ad  edifici  abusivi  o  siti  nei  centri  storici  o  in  aree   ad
inedificabilita' assoluta, con esclusione degli edifici per  i  quali
sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria». 
    La richiamata disposizione della  legge  regionale  in  questione
travalica, percio', i limiti individuati dalla  giurisprudenza  della
Corte richiamata, violando l'art. 3 della Costituzione. 
    A   cio'   si    aggiunga,    quale    ulteriore    profilo    di
incostituzionalita' della disposizione  in  commento,  che  a  motivo
delle rilevanti modifiche via via apportate alla legge  regionale  n.
21 del 2009, le amministrazioni comunali potrebbero  in  realta'  non
trovarsi nelle condizioni di poter effettivamente verificare caso per
caso e distinguere cio' che e'  stato  realizzato  (o  proseguito,  o
completato) nei periodi intercorrenti tra le modifiche medesime. 
    Cio', in contrasto  con  i  principi  di  ragionevolezza  e  buon
andamento, di cui agli articoli 3 e 97 della Costituzione. 
    In proposito e' opportuno rammentare che nella citata sentenza n.
73 del 2017, la Corte ha avuto modo di affermare che: 
        «Anche a voler ritenere che, nella  specie,  le  disposizioni
impugnate possano  trovare  una  loro  giustificazione  nell'esigenza
della Regione di assicurare una maggiore omogeneita'  alle  norme  in
oggetto per fare fronte al sovrapporsi  delle  modifiche  intervenute
nel tempo, siffatta finalita' deve ritenersi  recessiva  rispetto  al
valore della certezza del diritto, nel caso messo in  discussione  in
una materia, quella  urbanistica,  rispetto  alla  quale  assume  una
peculiare rilevanza l'affidamento che la collettivita'  ripone  nella
sicurezza giuridica (sentenza  n.  209  del  2010).  Del  resto,  pur
guardando  alla  potenziale  incidenza  delle  norme  impugnate   sui
rapporti  interprivati,  va  osservato  che  le  stesse,  per  quanto
prevalentemente  di  favore  rispetto  agli  interessi  dei   singoli
destinatari,  retroagendo  nel  tempo  sacrificano,   in   linea   di
principio, le posizioni soggettive dei  potenziali  controinteressati
che facevano  affidamento  sulla  stabilita'  dell'assetto  normativo
vigente all'epoca delle singole condotte». 
    In relazione a tale aspetto la disposizione regionale in commento
risulta adottata in violazione  dell'art.  117,  terzo  comma,  della
Costituzione nella materia «governo del territorio»  in  ragione  del
contrasto con la disposizione di principio contenuta nell'art.  2-bis
del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001. 
    Sul tema, si richiama nuovamente l'art. 5  (Costruzioni  private)
del decreto-legge n. 70/2011, convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge n. 106/2011, il quale al comma  11,  secondo  periodo,  prevede
che: 
        «Resta fermo il rispetto degli  standard  urbanistici,  delle
altre  normative  di  settore  aventi  incidenza   sulla   disciplina
dell'attivita' edilizia e in particolare delle norme antisismiche, di
sicurezza,  antincendio,  igienico-sanitarie,  di   quelle   relative
all'efficienza   energetica,   di   quelle   relative   alla   tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema, nonche' delle disposizioni contenute
nel codice dei beni culturali e del  paesaggio,  di  cui  al  decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42». 
    Infine, sempre a termini delle predette disposizioni dell'art.  5
del  decreto-legge  n.  70  del  2011,  e'  stato  ammesso,  per  gli
interventi ivi previsti, il rilascio del  permesso  di  costruire  in
deroga agli strumenti urbanistici, ai sensi dell'art. 14 del  decreto
del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (cfr. commi  11
e 13, lettera a). 
    Ebbene, l'art. 14 del decreto del Presidente della Repubblica  n.
380 del 2001, al comma 3, dispone che: 
        «3. La deroga, nel rispetto delle norme igieniche,  sanitarie
e di sicurezza, puo' riguardare esclusivamente i limiti  di  densita'
edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme
di attuazione degli  strumenti  urbanistici  generali  ed  esecutivi,
nonche', nei casi di cui al comma 1-bis, le destinazioni d'uso, fermo
restando in ogni caso il rispetto  delle  disposizioni  di  cui  agli
articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444». 
    La  salvaguardia  delle  specifiche  disposizioni   del   decreto
ministeriale n. 1444 del 1968 disposta dalla norma di  principio  ora
richiamata, si riferisce, pertanto, non solo agli articoli 8 e 9  del
decreto ministeriale n. 1444 del 1968 ma anche alla previsione di cui
all'art. 7 del decreto medesimo e deve intendersi  come  valevole  in
relazione a qualunque titolo abilitativo in deroga previsto da  norme
statali e regionali. 
    Sotto  tali  aspetti,  dunque,  la  disposizione   regionale   in
commento, e' stata adottata in violazione dell'art. 117, terzo comma,
della  Costituzione  in   relazione   alla   materia   «governo   del
territorio». 
6)  Violazione  degli  articoli  3,  51  primo  comma  e   97   della
Costituzione. 
    L'art. 21, comma 1, prevede che: 
        «1. Al comma 20 dell'art. 1 della legge regionale  11  agosto
2009,  n.  22  (Assestamento  del  bilancio  annuale  e   pluriennale
2009-2011 della Regione Lazio) le parole da: "Gli avvocati"  fino  a:
"all'Avvocatura regionale" sono sostituite dalle seguenti: "In attesa
di una specifica disciplina della contrattazione collettiva nazionale
in merito alla valorizzazione della professionalita'  degli  avvocati
degli  uffici  legali,  gli  avvocati  gia'  in  servizio  presso  la
struttura di cui all'art. 553-bis del Reg. reg. 1/2002 all'atto della
costituzione del ruolo professionale dell'Avvocatura regionale di cui
all'art. 10-bis della legge  regionale  n.  6/2002,  come  modificata
dalla  presente  legge,  sono  inquadrati,  a  domanda,   nel   ruolo
professionale  e  sono  assegnati  all'Avvocatura  regionale,  previa
apposita selezione tecnico-pratica svolta secondo criteri e modalita'
da disciplinare nell'ambito del citato Reg. reg.  1/2002,  mantenendo
la categoria in possesso al momento della selezione». 
    L'art. 21, comma 1, della legge regionale 28  dicembre  2018,  n.
13, modifica l'art. 1, comma 20, della  legge  regionale  n.  22  del
2009. 
    Si ricorda  che  l'art.  553-bis  del  regolamento  regionale  di
organizzazione degli uffici n.  1/2002  sotto  la  rubrica  «Funzioni
dell'Avvocatura regionale» stabilisce che: 
        «1.  L'Avvocatura  regionale  e'  costituita   alle   dirette
dipendenze del Presidente della Regione,  rappresenta  e  difende  la
Regione dinanzi alle giurisdizioni di ogni ordine e grado, secondo le
regole del proprio ordinamento,  e  svolge  attivita'  di  consulenza
giuridico-legale a favore della Regione. 
    2. Al fine dell'espletamento delle attivita' di cui al  comma  1,
le  direzioni  e  strutture  regionali   trasmettono   all'Avvocatura
regionale  dettagliata  e  documentata  relazione   informativa   sui
presupposti fattuali e giuridici delle vertenze, in tempo  utile  per
la efficace difesa giudiziale. 
    3. L'Avvocatura regionale provvede inoltre al coordinamento delle
avvocature e degli incarichi di rappresentanza e difesa legale  delle
agenzie, degli enti pubblici regionali di cui agli articoli 54  e  55
dello Statuto, degli enti di cui all'art. 56 dello  Statuto  e  delle
aziende  e  degli  enti  del  Servizio  sanitario  regionale,   anche
assumendone gratuitamente il patrocinio. Le modalita'  di  attuazione
di tale coordinamento sono definite, sulla base delle  direttive  del
Presidente della Regione, tramite  appositi  atti  convenzionali  tra
l'Avvocatura regionale e le predette agenzie, aziende ed enti». 
    Il medesimo regolamento di  organizzazione,  al  successivo  art.
553-quater («Avvocati dell'Avvocatura regionale») prevede che: 
        «1. Gli avvocati assegnati all'Avvocatura regionale  svolgono
la propria attivita' secondo i  criteri  di  liberta',  autonomia  ed
indipendenza  propri  della  professione  forense,  e  sono  iscritti
all'elenco  speciale  annesso  all'albo   degli   avvocati   previsto
dall'ordinamento  della  professione   forense.   Nello   svolgimento
dell'attivita'   legale,   gli    avvocati    non    sono    ordinati
gerarchicamente». 
    In sintesi, in  base  alle  disposizioni  sopra  menzionate,  gli
avvocati in servizio presso la  struttura  regionale  dell'avvocatura
regionale possono  ottenere,  previo  espletamento  di  una  apposita
selezione  tecnico-pratica,  l'inquadramento   nel   distinto   ruolo
professionale dell'Avvocatura regionale. 
    Il comma 20 dell'art. 1 della legge regionale 11 agosto 2009,  n.
22 («Assestamento del bilancio annuale e pluriennale 2009-2011  della
Regione Lazio»), nella sua formulazione originaria, prevedeva che: 
        «Fino all'adeguamento del r.r. 1/2002 ai sensi del comma 19 e
alla costituzione del ruolo professionale e dell'Avvocatura regionale
ai sensi degli articoli 10-bis  e  11-bis  della  l.r.  6/2002,  come
modificata dalla presente legge, la struttura di cui all'art. 553-bis
del  medesimo  regolamento  continua  a  svolgere  le  funzioni   ivi
previste. Gli avvocati gia' in servizio presso la  struttura  di  cui
all'art. 553-bis del r.r. 1/2002,  all'atto  della  costituzione  del
ruolo professionale dell'Avvocatura regionale di cui all'art.  10-bis
della  l.r.  6/2002,  come  modificata  dalla  presente  legge,  sono
inquadrati, a domanda,  nel  ruolo  professionale  e  sono  assegnati
all'Avvocatura regionale». 
    L'art.  21,  comma  1,  della  legge  regionale  in  oggetto   ha
modificato il comma 20 dell'articolo 1 sopra  richiamato,  prevedendo
che: 
        a) l'attuazione del nuovo inquadramento  «in  attesa  di  una
specifica disciplina della  contrattazione  collettiva  nazionale  in
merito alla  valorizzazione  della  professionalita'  degli  avvocati
degli uffici legali»; 
        b) il nuovo inquadramento avvenga non solo a domanda da parte
degli interessi, ma anche «previa apposita selezione tecnico  pratica
svolta secondo criteri e modalita' da  disciplinare  nell'ambito  del
citato r.r. 1/2002, mantenendo la categoria in  possesso  al  momento
della selezione». 
    Ancorche' la modifica apportata con la legge regionale n. 13  del
2018 persegua il condivisibile obiettivo di tentare di  omogeneizzare
le modalita' di  reclutamento  (interno  ed  esterno)  del  personale
destinato ad alimentare il ruolo dell'Avvocatura regionale, non  puo'
non rilevarsi  come  detto  risultato  sarebbe  stato  effettivamente
raggiunto prevedendo  l'obbligo,  anche  per  il  personale  gia'  in
servizio presso l'Avvocatura regionale, di poter transitare nel nuovo
ruolo previo superamento di una procedura concorsuale pubblica avente
le stesse caratteristiche ed il medesimo contenuto di quelle previste
per il c.d. accesso  dall'esterno,  connotata  (se  del  caso)  dalla
previsione di una riserva di posti e  di  un'adeguata  valorizzazione
dell'esperienza maturata nello svolgimento dell'attivita' de qua. 
    Nel caso di specie, invece, non solo si prevede una mera prova di
idoneita',  ma  la  stessa  alimentazione  del   neoistituito   ruolo
dell'Avvocatura regionale viene, di fatto, operata attraverso il solo
personale gia' in servizio. 
    Di talche', la disposizione  in  parola  sembra  contemplare  una
sorta di «concorso interamente riservato» al  personale  in  servizio
presso  l'Avvocatura  regionale,  del  tutto  incompatibile  con   le
previsioni di cui agli articoli 3, 51, primo comma e 97 Costituzione. 
    All'uopo, si ricorda che la Corte  costituzionale  ha  da  sempre
affermato che la regola del pubblico concorso aperto alla piu'  ampia
platea ammette eccezioni «rigorose  e  limitate»  (cfr.  sentenza  n.
293/2009, che subordina la legittimita' della deroga alla regola  del
pubblico concorso  solo  in  ipotesi  di  una  «specifica  necessita'
funzionale» dell'amministrazione, ovvero a «peculiari e straordinarie
ragioni di interesse pubblico». 
    In proposito, e' stato chiarito che non integrano valide  ragioni
di interesse pubblico ne' l'esigenza di  consolidare  il  precariato,
ne' quella di venire incontro a personali aspettative degli aspiranti
(cosi' Corte costituzionale  3  marzo  2006  n.  81),  ne'  tantomeno
esigenze   strumentali   di   gestione   del   personale   da   parte
dell'amministrazione (come affermato in Corte costituzionale 4 giugno
2010 n. 195). 
    Un concorso riservato puo' essere  giustificato  solo  quando  si
tratti    di    esigenze    desumibili    dalle    funzioni    svolte
dall'amministrazione (cosi' sempre la sentenza  n.  195/2010),  e  in
particolare   quando   si   tratti    di    consolidare    specifiche
professionalita'  che  non  si   potrebbero   acquisire   all'esterno
dell'amministrazione, e quindi giustificano che ci si rivolga solo  a
chi e' gia' dipendente in una data posizione (sentenza n. 293/2009). 
    Nella fattispecie non pare sostenibile che le professionalita' in
discorso non siano rinvenibili all'esterno. 
    Tanto piu' che lo stesso legislatore  regionale  prevede  che  il
reclutamento avvenga mediante uno  specifico  concorso  pubblico  per
titoli ed esami. 
    Ne consegue che l'art. 21, comma  1,  della  legge  regionale  in
oggetto appare contrario  alla  disciplina  legale  del  lavoro  alle
dipendenze delle pubbliche  amministrazioni  (desunta  principalmente
dall'art. 97 Cost., secondo la lettura che ne ha  dato  ripetutamente
la  Corte  costituzionale,  del  quale  sono  attuazione  il  decreto
legislativo  n.  165/2001,  articoli  35  e  52),  che  non  consente
inquadramenti automatici del personale (neppure in  base  al  profilo
professionale posseduto o alle mansioni  svolte)  e  che,  viceversa,
impone che l'assunzione  avvenga  tramite  procedure  selettive,  che
garantiscano in misura adeguata l'accesso dall'esterno. 
    Da ultimo, non puo' non sottolinearsi come  il  pericolo  che  il
nuovo ruolo dell'Avvocatura regionale finisca per  essere  alimentato
esclusivamente  dal  personale  gia'  in  servizio,  con  conseguente
vanificazione della previsione di cui all'art. 10-bis, comma 1, della
legge regionale  n.  6  del  2002,  risulta,  vieppiu',  evidente  in
considerazione della disomogeneita' emergenti: 
        1) tra i requisiti e  le  prove  di  concorso  sostenute  per
l'accesso nei ruoli della Regione  ed  i  requisiti  e  le  prove  di
concorso previste per il reclutamento  del  personale  da  inquadrare
nella nuova struttura («concorso per titoli ed esami, ai sensi  della
normativa vigente in materia di accesso  all'impiego  pubblico  e  di
esercizio  della  professione  forense  presso   le   amministrazioni
pubbliche»); 
        2)  dalle  modalita'  di  selezione  del  personale   esterno
(concorso pubblico) e  del  personale  gia'  in  servizio  (procedura
interna con selezione tecnico -  pratica  svolta  secondo  criteri  e
modalita'   ancora   da   definire),    con    confermata    ritenuta
incostituzionalita' della disposizione in esame ai sensi dell'art. 97
Cost. 
7) Violazione degli articoli 97 e  117,  secondo  comma,  lettera  s)
della Costituzione. 
    L'art. 21, comma 15, prevede che: 
        «Dopo l'art. 6 della legge regionale 9  luglio  1998,  n.  27
(Disciplina  regionale  della  gestione  dei  rifiuti)  e  successive
modifiche, e' inserito il seguente: 
    "Art. 6-bis (Stabilizzazione della filiera dei veicoli fuori  uso
e trattamento dei rifiuti metallici). - 1. Al fine  di  garantire  la
stabilizzazione della  filiera  dei  veicoli  fuori  uso  ed  evitare
l'interruzione delle attivita' di trattamento dei veicoli  fuori  uso
e/o di trattamento dei rifiuti metallici ferrosi e non ferrosi, trova
applicazione l'art. 15, comma 3, del decreto  legislativo  24  giugno
2003, n. 209  (Attuazione  della  direttiva  2000/53/CE  relativa  ai
veicoli fuori uso) per gli impianti che abbiano operato in virtu'  di
autorizzazioni rilasciate dai soggetti attuatori previsti dal decreto
del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri   19   febbraio   1999
(Dichiarazione dello stato di emergenza nel territorio  della  citta'
di  Roma  e  provincia   in   ordine   alla   situazione   di   crisi
socio-ambientale  e  di  protezione  civile)  e  dall'ordinanza   del
Presidente del Consiglio dei  ministri  2  settembre  2005,  n.  3473
(Interventi urgenti per la delocalizzazione  di  tutti  i  centri  di
autodemolizione e rottamazione del Comune  di  Roma)  e  per  i  loro
aventi causa e subentranti. 
    2. Ai sensi di quanto previsto dall'art. 15, comma 3, del decreto
legislativo  n.  209/2003   nonche'   per   gli   impianti   la   cui
localizzazione e' conforme, gli enti delegati ai sensi degli articoli
5 e 6  autorizzano  la  prosecuzione  dell'attivita'  secondo  quanto
stabilito dalle norme tecniche e dai requisiti  dell'allegato  1  del
medesimo decreto, indicando la tempistica di  delocalizzazione  e  le
specifiche  prescrizioni  nell'ambito  dei  singoli  procedimenti,  e
comunque  l'individuazione  della  delocalizzazione   dovra'   essere
effettuata entro sei mesi e  attuata  entro  un  periodo  massimo  di
ventiquattro mesi. 
    3. Entro trenta giorni  dall'entrata  in  vigore  della  presente
disposizione, gli enti competenti ai sensi della presente legge,  per
quanto  di  rispettiva  competenza,  provvedono  a  trasmettere  alla
Regione  un  quadro  complessivo  degli  impianti  esistenti,   delle
autorizzazioni  rilasciate,  delle  attivita'  di   controllo   degli
impianti attuate e programmate nonche' l'elenco  delle  attivita'  da
delocalizzare e delle  aree  di  destinazione  individuate.  Inoltre,
dovranno  essere  segnalate  eventuali  attivita'  esistenti  e   non
rientranti in quelle di cui al comma 1 per  le  quali  dovra'  essere
indicato un programma di ripristino delle aree». 
    La  disposizione  in   parola   contempla   talune   disposizioni
costituzionalmente  illegittime  in  quanto   contrastanti   con   la
competenza esclusiva statale in materia di  «tutela  dell'ambiente  e
dell'ecosistema» (art. 117, comma  2,  lettera  s),  Cost.),  materia
«trasversale»  e  «prevalente»,  che  si  impone  integralmente   nei
confronti delle regioni che non possono contraddirla,  ed  a  cui  fa
capo la disciplina dei rifiuti, spettando allo  Stato,  per  costante
giurisprudenza costituzionale, la competenza  a  fissare  livelli  di
tutela uniforme sull'intero territorio nazionale. 
    Infatti, il carattere  trasversale  della  materia  della  tutela
dell'ambiente, se da  un  lato  legittima  le  regioni  a  provvedere
attraverso  la  propria  legislazione  esclusiva  o  concorrente   in
relazione  a  temi  che  hanno  riflessi  sulla  materia  ambientale,
dall'altro non costituisce limite  alla  competenza  esclusiva  dello
Stato a  stabilire  regole  omogenee  nel  territorio  nazionale  per
procedimenti e competenze che attengono alla tutela  dell'ambiente  e
alla salvaguardia del territorio (cfr. Corte costituzionale, sentenza
n. 249 del 2009). 
    L'art. 21,  comma  15  della  legge  regionale  in  oggetto,  nel
modificare la legge  regionale  9  luglio  1998,  n.  27  (Disciplina
regionale della gestione del rifiuti), dopo l'art. 6, inserisce, come
sopra  riportato  un  art.  6-bis  rubricato  «Stabilizzazione  della
filiera dei veicoli fuori uso e trattamento dei rifiuti metallici». 
    La norma regionale anzidetta  reca  in  se'  profili  di  stretta
connessione con l'art. 15 del decreto legislativo 24 giugno 2003,  n.
209 (Attuazione della direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli  fuori
uso), rubricata «Disposizioni transitorie e finali», il quale prevede
espressamente: 
        «1. Il titolare del centro di raccolta  o  dell'impianto  di'
trattamento in esercizio alla data di entrata in vigore del  presente
decreto, entro sei mesi dalla  stessa  data,  presenta  alla  regione
competente per territorio domanda di autorizzazione corredata  da  un
progetto di adeguamento dell'impianto alle disposizioni del  presente
decreto.  Detto  progetto  comprende  un  piano  per  il   ripristino
ambientale dell'area  utilizzata,  da  attuare  alla  chiusura  dello
stesso impianto. 
    2. La regione, entro i termini stabiliti dall'art. 27 del decreto
legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, conclude  il  procedimento  e  si
pronuncia  in  merito  al  progetto  di  adeguamento.  In   caso   di
approvazione del  progetto,  la  regione  autorizza  l'esercizio  dei
relativi lavori,  stabilendone  le  modalita'  di  esecuzione  ed  il
termine per la conclusione,  che  non  puo'  essere,  in  ogni  caso,
superiore a 18 mesi, a  decorrere  dalla  data  di  approvazione  del
progetto. 
    3. Nel caso in cui, in  sede  di  procedimento,  emerge  che  non
risultano rispettati i soli requisiti  relativi  alla  localizzazione
dell'impianto previsti dal presente decreto, la regione autorizza  la
prosecuzione dell'attivita', stabilendo le prescrizioni necessarie ad
assicurare la tutela della salute e dell'ambiente,  ovvero  prescrive
la rilocalizzazione dello stesso impianto in tempi definiti. 
    4. La provincia competente per territorio, entro sei  mesi  dalla
data di entrata in vigore del presente decreto, procede all'ispezione
degli  impianti  in  esercizio  alla  stessa  data   che   effettuano
l'attivita' di recupero di rifiuti derivanti da veicoli fuori uso  di
cui all'art. 6, comma 5, al fine  di  verificare  il  rispetto  delle
norme tecniche e delle condizioni di esercizio previste dal  presente
decreto e, se necessario, stabilisce le  modalita'  ed  i  tempi  per
conformarsi   a   dette   prescrizioni,   consentendo,   nelle   more
dell'adeguamento, la prosecuzione dell'attivita'. In caso di  mancato
adeguamento  nei  modi  e  nei  termini  stabiliti,  l'attivita'   e'
interrotta». 
    Il citato parametro legislativo statale interposto -  espressione
della  competenza  esclusiva  dello  Stato  in  materia   di   tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema ex art. 117,  comma  2,  lettera  s),
Cost., in attuazione della direttiva 2000/53/CE, relativa ai  veicoli
fuori   uso   -   subordina   lo   svolgimento   dell'attivita'    di
autodemolizione  ad  un  complesso  di  prescrizioni  (specificamente
elencate nell'allegato 1, come richiamato dall'art. 6, commi 1  e  2)
che attengono  sia  alla  localizzazione  degli  impianti,  sia  alle
modalita' di svolgimento di dette attivita'. 
    In siffatto quadro regolatorio, l'art. 15 del decreto legislativo
n.  209   del   2003   detta   una   disciplina   transitoria   volta
all'adeguamento delle attivita' in essere, ponendo anzitutto in  capo
al titolare del centro di raccolta o  dell'impianto  di'  trattamento
l'obbligo di presentare alla regione competente  (recte:  al  Comune,
che nella Regione Lazio esercita  per  delega  la  funzione  de  qua)
domanda di autorizzazione corredata da  un  progetto  di  adeguamento
dell'impianto e da un piano per il  ripristino  ambientale  dell'area
utilizzata, da attuare alla chiusura dello stesso impianto (comma 1);
ulteriori  previsioni  riguardano  poi   termini   e   modalita'   di
conclusione del procedimento (comma 2). 
    Lo  stesso  l'art.  15,  al  comma  3,  disciplina  l'ipotesi  di
attivita' di autodemolizione sottoposte ad  autorizzazione  ordinaria
(attualmente ex art. 208, del decreto legislativo n. 152  del  2006),
prescrivendo che, qualora risultino non rispettati i  soli  requisiti
relativi alla localizzazione dell'impianto,  la  regione  (recte:  il
comune) autorizza la prosecuzione dell'attivita', con le prescrizioni
necessarie ad assicurare la  tutela  della  salute  e  dell'ambiente,
ovvero dispone la rilocalizzazione dello  stesso  impianto  in  tempi
definiti. 
    Il  successivo  comma  4  inerisce,  infine,  alle  attivita'  di
autodemolizione sottoposte a procedure semplificate  (attualmente  ex
articoli 214, 215 e 216, del decreto legislativo n.  152  del  2006),
stabilendo che le province effettuano apposite ispezioni al  fine  di
verificare il rispetto delle norme tecniche  e  delle  condizioni  di
esercizio previste e, se necessario, stabilisce  le  modalita'  ed  i
tempi per conformarsi a dette prescrizioni, consentendo,  nelle  more
dell'adeguamento, la prosecuzione dell'attivita'. In caso di  mancato
adeguamento  nei  modi  e  nei  termini  stabiliti,  l'attivita'   e'
interrotta. 
    Nel  complesso,  si  ricava   agevolmente   che   le   richiamate
disposizioni di cui ai commi 1, 3 e 4, pongono  standard  unitari  di
tutela ambientale. 
    Posto che le autorizzazioni cui si riferisce il nuovo art. 6-bis,
comma 1, della legge regionale n. 27 del 1998, sono state  rilasciate
dal soggetto attuatore di una gestione  commissariale,  e'  anzitutto
evidente che, una volta  esauritasi  quest'ultima,  le  attivita'  di
autodemolizione interessate debbono essere  sottoposte  in  pieno  al
regime giuridico del decreto legislativo n. 209 del 2003. 
    Cio'  posto,  si  rileva  che  le  disposizioni   regionali   qui
contestate, nel fare riferimento  al  solo  art.  15,  comma  3,  del
predetto decreto legislativo, sembrano escludere l'applicazione delle
ulteriori previsioni attinenti al complesso iter di adeguamento delle
attivita' di autodemolizione in essere. Dunque, esse  si  pongono  in
contrasto con i livelli uniformi di tutela ambientale  stabiliti  dal
legislatore statale nell'esercizio della competenza di  cui  all'art.
117, comma 2, lettera s), Cost. nella misura in cui: 
        a) pretermettono la fase iniziale  del  procedimento  che  si
sostanzia, come in precedenza rilevato, nell'esercizio, da parte  dei
gestori, di una iniziativa qualificata dall'allegazione  di  appositi
piani e progetti  di  adeguamento  degli  impianti  e  di  ripristino
ambientale; 
        b) estendono una previsione concepita dal legislatore statale
per il caso in cui, in sede di procedimento autorizzatorio ordinario,
non siano rispettati i  soli  requisiti  di  localizzazione  (quella,
appunto, di cui all'art. 15, comma 3, del decreto legislativo n.  209
del 2003) a fattispecie in relazione alle quali Io stesso legislatore
statale pone una diversa disciplina che  consente,  in  sostanza,  di
impedire o di interrompere le attivita'. Per  l'esattezza  si  tratta
delle ipotesi in cui: 
          in sede di procedimento autorizzatorio  ordinario  emergono
difformita' non solo dai criteri localizzativi, ma anche dalle  norme
tecniche concernenti lo svolgimento delle attivita'; 
          in sede di ispezione sulle  attivita'  autorizzate  in  via
semplificata  emergono  difformita'  dalle  norme  tecniche  e  dalle
condizioni di esercizio previste. 
    Tali considerazioni risultano rafforzate dalla finalita' generale
delle previsioni regionali qui in oggetto, che si pongono tout  court
l'obiettivo di evitare l'interruzione delle attivita' di  trattamento
dei veicoli fuori  uso  e/o  di  trattamento  dei  rifiuti  metallici
ferrosi e non ferrosi. 
    Risulta, dunque, evidente che la previsione di  cui  al  comma  3
dello stesso art. 15 della norma primaria statale costituisce di  per
se' solo una fase e non anche procedimento autonomo da  poter  essere
isolatamente considerato e  decontestualizzato  dal  punto  di  vista
sistematico. 
    In tale ottica, l'art. 6-bis della legge  regionale  in  oggetto,
attraverso un meccanismo di facilitazione istruttorio/procedimentale,
reca, di fatto, la parziale applicazione  dell'art.  15  del  decreto
legislativo n. 209  del  2003,  limitandolo,  testualmente,  ai  soli
effetti di cui al relativo comma 3, il quale consente alla Regione di
autorizzare la  prosecuzione  dell'attivita'  nei  casi  in  cui  non
risultano  rispettati  i  requisiti  relativi   alla   localizzazione
dell'impianto ma nel rispetto delle norme tecniche e delle condizioni
di esercizio previste dal decreto legislativo  n.  209  del  2003,  e
previa eventuale fissazione delle  necessarie  prescrizioni  atte  ad
assicurare la tutela della salute e dell'ambiente. 
    Pertanto, attraverso la norma regionale de  qua  la  disposizione
contenuta nel citato comma 3 dell'art.  15  viene  decontestualizzata
dal quadro normativo statale in cui risulta coerentemente  collocata,
andando di  fatto  ad  incidere,  ampliandone  la  portata,  sull'ivi
contemplato meccanismo di deroga autorizzatoria invece  limitato  dal
decreto legislativo n. 209 del 2003 al solo caso di  non  conformita'
ai   criteri   di   localizzazione   dell'impianto   a    fattispecie
predeterminate. 
    Ai sensi della disposizione regionale, la fase procedimentale  di
cui al comma 3 del piu'  volte  menzionato  art.  15  viene,  quindi,
elevata a procedimento autonomo autorizzatorio  legato  alla  sola  e
specifica  osservanza  delle   norme   tecniche   e   dai   requisiti
dell'allegato 1 del medesimo decreto, da cio' derivandone  un  palese
indebolimento dei livelli di tutela previsti dal legislatore statale,
attraverso  anche  e  soprattutto  l'affievolimento/abbattimento  dei
requisiti disciplinati ed imposti dalla norma primaria. 
    In aggiunta a quanto sopra, si rileva, inoltre, che il  comma  1,
del neointrodotto art. 6-bis della legge regionale 9 luglio 1998,  n.
27, reca la dicitura «e per i loro aventi causa e subentranti». 
    Posto a tal  riguardo  che  l'espressione  utilizzata  appare  di
dubbia interpretazione, e' da evidenziare che in materia di  rifiuti,
le modifiche/variazioni del soggetto  titolare  di  un'autorizzazione
alla  gestione  di  un  impianto  di  rifiuti  assumono   particolare
rilevanza in quanto il rilascio di tale atto di  assenso  presuppone,
tra l'altro, un scrutinio valutativo in ordine al possesso  effettivo
di predeterminati requisiti personali da  parte  di  chi  esercitera'
l'attivita' autorizzata. 
    Dal «carattere personale» dell'autorizzazione ne discende che  ad
ogni variazione soggettiva del rapporto  consegue  la  necessita'  di
operare una voltura del  provvedimento  autorizzatorio  che  comporta
l'avvio  di  un  procedimento  diretto  al  fine  di  verificare   la
sussistenza dei requisiti soggettivi in capo al subentrante. 
    La disposizione regionale in parola si pone, quindi, in contrasto
col piu' volte menzionato  parametro  statale  interposto  costituito
dall'art. 15  del  decreto  legislativo  n.  209  del  2003  che  non
contempla   siffatta   estensione   soggettiva,   circoscrivendo   al
«titolare» gli  effetti  applicativi  della  norma,  nonche'  con  il
principio di buon andamento  dell'amministrazione  sancito  dall'art.
97, Cost., in quanto elide un procedimento amministrativo finalizzato
a verificare la sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi  per
la voltura dell'autorizzazione. 
    Alla luce di quanto fin qui rappresentato e del quadro  normativo
eurounitario e statale, la legge regionale in argomento, in  aggiunta
al citato art.  97  Cost.,  si  pone  in  palese  contrasto,  con  il
parametro  costituzionale  di  cui  al  secondo  comma,  lettera  s),
dell'art. 117 Cost., in quanto essa interviene in una materia, quella
della «tutela dell'ambiente e  dell'ecosistema»,  attribuita  in  via
esclusiva alla competenza legislativa dello Stato (ex  multis,  Corte
costituzionale, sentenze n. 54 del 2012, n. 244 e n. 33 del 2011,  n.
331 e n. 278 del 2010, n. 61 e n. 10 del 2009), nella  quale  rientra
la disciplina della gestione dei rifiuti (sentenza n. 249 del  2009),
anche quando interferisca con altri interessi e competenze,  di  modo
che deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare livelli
di tutela uniforme sull'intero territorio nazionale,  ferma  restando
la competenza delle regioni alla  cura  di  interessi  funzionalmente
collegati con quelli propriamente ambientali (tra le molte,  sentenze
n. 67 del 2014, n. 285 del 2013, n. 54 del 2012, n. 244 del 2011,  n.
225 e n. 164 del 2009 e n. 437 del 2008). 
    Tale disciplina,  in  quanto  appunto  rientrante  principalmente
nella tutela dell'ambiente, e dunque  in  una  materia  che,  per  la
molteplicita'  dei  settori  di  intervento,  assume  una   struttura
complessa, riveste un carattere di pervasivita' rispetto  anche  alle
attribuzioni regionali (cfr.  sentenza  n.  249  del  2009),  con  la
conseguenza che, avendo riguardo alle diverse  fasi  e  attivita'  di
gestione del ciclo dei  rifiuti  e  agli  ambiti  materiali  ad  esse
connessi, la disciplina statale  «costituisce,  anche  in  attuazione
degli obblighi comunitari un livello di tutela uniforme e  si  impone
sull'intero territorio nazionale, come un limite alla disciplina  che
le regioni e le province autonome dettano in altre  materie  di  loro
competenza, per evitare che  esse  deroghino  al  livello  di  tutela
ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino» (sentenze  n.
58 del 2015, n. 314 del 2009, n. 62 del 2008 e n. 378 del 2007). 
    Per i motivi esposti, si ritiene sussistere  con  riferimento  al
menzionato art. 21, comma 15, la  violazione  dell'art.  97  Cost.  e
dell'art. 117, secondo comma, lettera s)  Cost.,  in  riferimento  ai
parametri statali ed eurounitari interposti dianzi citati. 
8) Violazione degli articoli 2, 3 e 118 della Costituzione. 
    L'art. 21, comma 21 prevede che: 
        «Dopo il comma 7-bis dell'art. 8  della  legge  regionale  21
ottobre 1997, n. 34 (Tutela degli animali di affezione e  prevenzione
del randagismo) e successive modifiche, sono aggiunti i seguenti: 
    "7-ter.   La   Regione   concede,   altresi',   contributi   alle
associazioni  animaliste  di  volontariato  per  specifici   progetti
realizzati dalle stesse anche in collaborazione con i comuni e/o  con
le scuole e/o con le ASL competenti. 
    7-quater. La Giunta regionale con propria deliberazione definisce
i criteri e i modelli per la concessione dei  contributi  di  cui  al
comma 7-ter». 
    La disposizione prevede dunque la concessione di contributi  alle
associazioni animaliste  di  volontariato  per  la  realizzazione  di
specifici progetti in collaborazione con le scuole,  i  comuni  e  le
ASL. 
    Anche in questo caso si evidenzia che la normativa nazionale  non
limita la possibilita' di operare a tutela degli  animali  alle  sole
associazioni di volontariato: l'art. 5, lettera  e)  del  Codice  del
terzo settore inserisce tale materia tra quelle relative a tutti  gli
enti del terzo settore, mentre la legge n.  281/1991  riguardante  la
tutela degli animali e la prevenzione del randagismo  fa  riferimento
alle associazioni animaliste. 
    Si ritiene pertanto, che la concessione di contributi  alle  sole
associazioni di volontariato e non anche alle altre associazioni  del
terzo settore a carattere animalistico operanti attraverso  l'apporto
volontario degli  associati  (quali  le  associazioni  di  promozione
sociale) configuri una violazione degli articoli 2,  3  e  118  della
Costituzione.